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di Abel Ferrara, con Matthew Modine, Dennis Hopper, Béatrice Dalle, Claudia Schiffer
(Stati Uniti, 1997)
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Il regista Abel Ferrara |
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Dopo un film finalmente interamente posseduto come THE FUNERAL, che della tragedia greca possedeva la straordinaria energia, l'ineluttabilità della forza del destino - oltre che le estremamente salutari unità di tempo, luogo ed azione - l'imprevedibile Abel Ferrara torna agli antichi vizi. Come sempre, non disgiunti da evidenti virtù. La storia, se cosi si possono definire le discese agli inferni del biblico Abele, è presto detta: attore da prima pagina, Matty (Matthew Modine al meglio) inciampa nei soliti sesso, droga piuttosto che rock and roll. È che l'oggetto della sua impossibilità di amare, Annie (Béatrice Dalle, laboriosamente impegnata a convincerci di essere il massimo auspicabile in tema di delirio sessuale), gli ha annunciato di avere appena abortito. Non solo: ma le sue sempre più frequenti allucinazioni gli suggeriscono di averla (lei, o una sua sosia in biondo: ma questa è la divagazione VERTIGO del film...) eventualmente strangolata in pieno trip. Il tutto grazie alla compiacenza del tenebroso Micky (Dennis Hopper, che invece in tema perversione è da un pezzo che ci ha detto proprio tutto ciò che volevamo sapere): videasta con improbabile macchinetta video-otto in pugno, autore di alcune fra le sentenze più inedite del film nel genere "lo stupro è la verità a 24 immagini al secondo". E Claudia Schiffer? Fotografata come un wurst asessuato, assiste come può alla disintossicazione del nostro provvisoriamente redento: prima di perdersi con lui, nella intensa sequenza finale, fra le onde gravide ed oscure dell'oceano di Miami Beach. Raccontato cosi, THE BLACKOUT è un polpettone alla moda: il che è in parte vero. Ma poiché tutto non è mai veramente bianco o nero specie nel cinema a tinte fosche di Ferrara, sarebbe disonesto affermare che il moralismo estetico-dipendente del regista lasci affiorare dall'inquietante rock-tecno ("Miami", degli U2) soltanto la crusca. Sarebbe dimenticarsi di lui come di uno dei più brillanti pittori contemporanei dell'Istante: capace di cogliere la folgorazione sospesa di un'emozione, la fragilità malcelata dalla violenza, la spiritualità che la materia più evidente e volgare finisce per lasciar trasparire. L'arte della messa in scena non può redimere un progetto zoppicante. Ma può bastare per esprimere l'indicibile: lo smarrimento degli individui in mancanza d'amore. La vanità della fuga: nei paradisi artificiali, come nella futilità di una pseudo evasione estetica.
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capolavoro
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